Le lesioni all'apparato muscolo-scheletrico possono dipendere da eventi traumatici, in cui l’intensità delle forze è tale da superare la resistenza del tessuto (lesioni muscolari, distorsioni articolari e fratture), o per sovraccarico funzionale, in cui una azione ripetuta nel tempo può usurare la struttura e predisporla alla rottura, come avviene nelle lesioni tendinee e nelle fratture da stress.
Le lesioni muscolari generalmente hanno luogo durante un allungamento del muscolo mentre è in una fase di contrazione. Il quadro clinico è caratterizzato da dolore, che nei casi lievi non impedisce i normali movimenti, mentre, in quelli più gravi, comporta una limitazione nell’uso della parte lesa; nei casi severi può comparire nel muscolo un avvallamento visibile ad occhio nudo denominato “segno del colpo d’ascia”.
Le lesioni si classificano in base all’estensione del danno: nel primo grado non vi è rottura dei fasci muscolari, ma è presente un allungamento delle fibre; nel grado due il danno è più esteso e coinvolge un certo numero di fibre muscolari; nel terzo grado il danno è massivo, è coinvolto anche il ventre muscolare e c’è una interruzione di continuo del muscolo. I test esaminano la dolorabilità alla pressione locale, durante la contrazione e nell'atto di allungamento passivo. Ecografia e risonanza magnetica sono in grado di individuare sede ed entità della lesione. Dopo il trauma è indispensabile un periodo di riposo/immobilizzazione che varia a secondo del grado di lesione: per i primi gradi è previsto un riposo per un periodo da alcuni giorni fino a due settimane, mentre, per secondo e terzo grado, è necessaria una immobilizzazione con un tutore da indossare da due a sei settimane.
Lesione dei muscoli flessori della coscia.
Le lezioni tendinee spesso si manifestano senza cagionevoli motivi: il tendine è in grado di resistere anche a contrazioni muscolari violente, ma quando la struttura è alterata (come nel caso delle tendinosi), anche una banale sollecitazione può provocarne la rottura. Al momento della lesione si avverte un dolore acuto e si può osservare, almeno nei tendini superficiali, uno spostamento del ventre muscolare che non sarà più adeso all’osso (come avviene nella rottura del tendine del bicipite brachiale). Il trattamento nella maggior parte dei casi prevede la riparazione chirurgica, un periodo di immobilizzazione di alcune settimane ed un programma di fisioterapia che deve rispettare i processi rigenerativi delle strutture. La guarigione del tessuto tendineo avviene grazie ad un processo di riparazione che esita nella formazione di un'area cicatriziale, che, come nel caso del muscolo, si presenta di natura connettivale e con proprietà strutturali e funzionali inferiori a quelle del tessuto originario.
Rottura del tendine del bicipite brachiale e discesa del ventre muscolare.
Le fratture ossee sono classificate in vario modo: in base all’eziologia possiamo distinguere fratture traumatiche, fratture patologiche (come nel caso dell’osteoporosi o tumori) e fratture da stress (a causa di microtraumi ripetuti).
In base al meccanismo di rottura, la frattura può avvenire in flessione (impatto diretto sull'osso), in torsione (per trauma indiretto, come una frattura di gomito per una caduta sulle mani), in compressione (solitamente vertebre, dove la forza di rottura è perpendicolare), o per strappamento (distacchi ossei per brusche contrazioni muscolari).
In base alla sede si distinguono fratture epifisarie, metafisarie e diafisarie (sono porzioni delle ossa lunghe).
Le fratture inoltre possono essere complete o incomplete (se la rima di frattura si estende all’intero osso o solo parte di esso) e composte o scomposte (se vi è o meno uno spostamento del moncone rispetto l'asse).
I sintomi sono dolore locale, incapacità ad usare la parte colpita, presenza di crepitii durante la mobilizzazione dei capi ossei e deformità scheletrica in caso di fratture scomposte. L’esame radiografico è in grado di fare una diagnosi certa, anche se in alcuni casi è necessaria la tomografia assiale computerizzata.
ll processo di guarigione può durare anche 2 anni ed avviene per tappe fino alla ricostituzione di un normale osso.
Il tempo di consolidazione è decisamente minore e varia da un minimo di 15 giorni (clavicola nel bambino) a 3 o 4 mesi, durante i quali è necessario immobilizzare la parte lesa almeno fino alla formazione di un buon callo osseo.
Frattura scomposta chiusa della gamba.
Le distorsioni avvengono per traumi indiretti all'articolazione, dove il movimento supera la fisiologica escursione articolare. Sono lesioni che possono coinvolgere l’intera struttura capsulo-legamentosa e che a volte si verificano anche nelle normali attività di vita quotidiana; le articolazioni più colpite sono generalmente caviglia e ginocchio.
Dolore, emartro ed instabilità articolare sono i principali segni clinici di lesione. Esistono diversi test articolari che indirizzano verso una diagnosi certa, da completare con la risonanza magnetica che esamina bene i tessuti molli.
In relazione alla lesione, come per le distrazioni muscolari, anche le distorsioni sono classificate in tre gradi: nel primo, le componenti articolari vengono stirate, ma con una forza insufficiente a superare la resistenza alla trazione delle strutture; nel secondo, la resistenza alla trazione viene superata e vi è una interruzione di una piccola quota di fibre; nel terzo, le strutture legamentose vengono lacerate ed appare una lassità legamentosa.
Il trattamento varia in base all’articolazione interessata e al grado di lesione: nelle lesioni lievi è indicata una immobilizzazione di una o due settimane, in quelle più gravi ci può essere l’indicazione a prolungare l’immobilizzazione o considerare un intervento chirurgico di ricostruzione dei legamenti.
Edema al ginocchio sinistro conseguente ad un trauma distorsivo.
Come si recupera da un infortunio?
La riabilitazione è fondamentale e prosegue per step.
In una prima fase è importante controllare dolore e infiammazione; si applica nell’ immediato il protocollo RICE (riposo, ghiaccio, compressione, elevazione), ma sono validi anche i mezzi fisici (elettroterapia e termoterapia) e la terapia manuale, che attraverso movimenti controllati da parte del fisioterapista, normalizza i sintomi clinici.
La seconda fase è rivolta al recupero dell’articolarità; una struttura a lungo immobilizzata va incontro a fenomeni di aderenze e retrazioni ed è importante ripristinare la completa escursione del movimento prima di procedere alle fasi successive. E’ una fase delicata poichè i tessuti sono in guarigione ed il rischio di creare danni è elevato.
La terza fase è caratterizzata dal recupero della potenza e della resistenza muscolare; sono indicati esercizi con un carico crescente di lavoro durante i quali il fisioterapista può avvalersi di ausili quali elastici e pesi.
La quarta fase mira al recupero del gesto e della coordinazione; un importante ruolo è rivestito dalla rieducazione propriocettiva che consiste in una riprogrammazione neuromotoria attraverso specifici esercizi di equilibrio, fondamentali per prevenire recidive in caso di distorsioni. Gli esercizi pliometrici completano il programma.
Esempi di esercizi propriocettivi con l'impiego di palloni gonfiabili.
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