Tra le tante e diverse patologie, c’è un disturbo che meriterebbe sicuramente più rilievo ed attenzione: l'acufene. Una problematica che colpisce molte persone, caratterizzata dalla percezione di suoni e rumori immaginari, come fruscii, ronzii, fischi o battiti, che sembrano generarsi nel cervello o provenire dall'ambiente esterno. Purtroppo, chi soffre del problema, è costretto a vivere in un perenne frastuono, ignaro di cosa sia il silenzio.
L'acufene è volgarmente apostrofato come “la tomba dell’otorino”, in quanto di esso si conosce poco da un punto di vista fisiopatologico e, almeno al momento, non esistono farmaci in grado di far sparire tale tormento.
Ciò che si sa, è che qualsiasi suono in natura, per essere percepito, attraversa più stazioni del sistema nervoso.
Il suono altro non è che energia meccanica, trasformata in un potenziale d’azione con cui i neuroni comunicano.
Se riusciamo a localizzare un suono e distinguerlo da altri è grazie ad una complessa attività del nostro cervello.
L’ orecchio è il primo organo e si occupa di captare l'onda sonora e trasdurre il segnale, da sonoro a elettrico;
le altre stazioni, quali ponte, mesencefalo e corteccia, hanno il compito di integrare ed elaborare le informazioni.
Strutture molteplici, come i disordini a loro carico che possono comportare la sgradita percezione di un acufene.
E numerose sono, o almeno dovrebbero, le figure professionali che si occupano di una problematica classificata ad eziologia multifattoriale, in quanto le condizioni che possono favorire l'insorgere di rumori fantasma sono tante.
Inoltre, mentre in alcuni casi è possibile individuare la causa scatenante, in altri casi le indagini risultano vane.
Ad esempio, chi riporta un trauma acustico può sviluppare acufene come conseguenza di un danno alle strutture dell’orecchio, evidenziabile tramite un esame audiometrico in cui compare una perdita uditiva, ma in altri frangenti, l'acufene può manifestarsi anche in assenza di cause apparenti o evidenti anomalie agli esami strumentali.
E’ in quest’ultima tipologia di casi che la fisioterapia può venire in soccorso, anche se in modo non sempre risolutivo.
Diversi studi hanno analizzato il legame tra acufene ed alcune condizioni anatomiche predisponenti, valutando i rapporti che intercorrono tra il distretto cervicale ed il nervo trigemino, ed articolazione temporo-mandibolare ed orecchio, in ciò che concerne l'ampio capitolo delle disfunzioni cranio-cervico-mandibolari (DCCM).
Particolare attenzione è stata rivolta al nervo trigemino, che ha assoni che dal nucleo spinale proiettano fino alle prime vertebre cervicali, dando forma al fascio spinale del trigemino. Le disfunzioni cervicali hanno già numerosi riscontri clinici nelle cefalee; si ipotizza un coinvolgimento del fascio spinale anche nella problematica degli acufeni.
L’articolazione temporomandibolare, anche essa responsabile di numerosi problemi quali mal di testa e vertigini, può rivestire un ruolo importante nel tinnito; è stata infatti appurata l’esistenza del legamento disco-malleolare, il legamento di Pinto, che collega l’articolazione della mandibola al martello della catena ossiculare dell'orecchio. La posizione del legamento può giustificarne un coinvolgimento in problematiche quali fullness ed appunto...acufene!
Purtroppo sono solo ipotesi e la fisioterapia, per quanto utile, non può dare garanzie di successo in quanto l'acufene, una volta cronicizzato è difficile, se non impossibile, da debellare completamente, anche perchè sottende a regole ancora non del tutto chiare, in parte simili a quelle del dolore cronico, in cui il sistema limbico, che governa anche l'emotività, esercita un ruolo importante.
Articolazione Temporo Mandibolare (ATM).
Perché ho interesse per questo argomento?
Semplice, sono vittima di acufene in prima persona e conosco bene la sofferenza che deriva da questo calvario.
E mi sono note anche le dinamiche, psicologiche, del soffrire di un male invisibile e non riconosciuto come meriterebbe; troppo spesso infatti chi è vittima di acufene vive un senso di abbandono da parte di istituzioni e classe medica, in cui la speranza di alleviare un disturbo così invalidante è posta in associazioni che promuovono la ricerca scientifica (unica vera soluzione al problema) e, nel peggiore dei casi, da passa parola e ricerche in internet che sfociano in pericolosi rimedi "fai da te".
Dò a questo tema un importante peso, augurandomi che presto chiunque possa accedere a strutture ad hoc in grado di garantire un sostegno totale alla persona attraverso la presenza di varie figure mediche, indispensabili quando si affronta una problematica così complessa. Per questa ragione, ricerco collaborazione di colleghi e medici che possano dare il proprio contributo. Un progetto che mira ad essere un punto di ascolto per il paziente, disorientato dalla poca informazione, di interconnessione per gli specialisti, nel cui ambiente spesso vige mancanza di comunicazione, e di sostegno riabilitativo, laddove il fisioterapista può ricoprire un ruolo chiave.
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